Pagine a cura di Giorgio Cinti - Sessant'anni ormai... - Dal pastore al duca - Veri gentlemen e very British... - Una tabella... - Quella della Folgore... ...e quella dell'Ariete e dei tedeschi

SESSANT'ANNI ORMAI... (per le celebrazioni del 20 Ottobre 2002)
essant'anni di sabbia scivolata attraverso l'infinita clessidra del tempo ci separano ormai dai tragici e gloriosi episodi di El Alamein, episodi il cui ricordo è tenuto ancora miracolosamente in vita dalle ultime fiammelle dei sopravvissuti alla battaglia. Ora laggiù, dissolti i clamori e spenti gli ultimi squilli di tromba delle celebrazioni ufficiali, calerà per sempre il silenzio. Sessant'anni di granelli di sabbia sono tanti, e sembra incredibile che ancora qualcuno, ogni anno, si ricordi di quel che successe allora in mezzo al deserto. Facile immaginare che ormai quel luogo, purtroppo, non vedrà più grossi clamori né altri squilli di tromba. Una combinazione unica di uomini e di eventi ha reso questa celebrazione la più importante fra quelle finora svolte e certamente anche fra quelle a venire.
In sessant'anni tutto quello che c'era da scrivere è stato scritto, e tutto quel che c'era da celebrare è stato celebrato. Scritto tanto e celebrato, forse, poco. Scritto tanto e, spesso, male. Scritto per motivi nobili e, spesso, ignobili. Rimane allora la voglia di tirare certe somme; non della battaglia, o di chi ha vinto e di chi ha perso, e perché abbia vinto o perché abbia perso. Somme che siano oneste quanto più possibile, e dettate, quando ne manchino le prove, anche solo dalla logica.
E con questa voglia, anche l’uzzo di togliere qualcuno dei tanti sassolini - sassolini del deserto, ovviamente - dagli scarponi di chi non poté allora, ed ora non può più farlo. Sassolini disseminati in sessant'anni da chi ha voluto far bello se stesso o la propria parte a spese dei vinti fra i vinti, sassolini col tempo diventati pietre. Certa gentucola poteva ottenere lo stesso scopo senza diffamare - inutilmente e spesso stupidamente, che la malafede e la disinformazione ne traspaiono chiaramente - chi, appunto perché sconfitto fra gli sconfitti, non aveva più la possibilità, e neanche la voglia, di rialzare la testa e difendere le sue ragioni e il suo onore.
Nacquero così le mille e una favola, i mille e un libro, le mille e una biografia, perché, chi aveva l'autorità e poteva farlo, l'abitino se lo confezionò su misura, con gli orpelli che la vittoria gli mise a disposizione. Loro ebbero grandi marescialli e grandi condottieri, nobili visconti e ardimentosi generali, tutti immensamente vanitosi. Noi, cotanti titolati del giorno dopo non ne avemmo; avemmo invece dei piccoli grandi uomini, tutti immensamente coraggiosi, e questo ci basta.
Tanto per accennare ad un paio delle mille favole messe in giro, ecco che, secondo gli inglesi, non fu possibile accerchiare e distruggere le truppe dell'Asse in ritirata, salvo quelle rimaste appiedate e senza rifornimenti, perché una tempesta, nei giorni seguenti alla rottura del fronte, rese il deserto impraticabile. Ora, da che mondo è mondo, il fango non è partigiano. Il fango, come il vento, non sa leggere, non fa distinzioni, e intralcia i movimenti di chi fugge come quelli di chi insegue. Ed ancora: quando si osservano le tabelle che riportano le forze in campo, oppure le carte con gli schieramenti, quasi non ci si accorge di una incredibile alterazione. A prima vista sembra che al sud siano di fronte un paio di divisioni italiane, e due o tre inglesi. Quello che non appare è la "consistenza". Una divisione come la Folgore, oltre ad avere scarsissimi armamenti e nessun mezzo di trasporto, contava su poco più di 5.000 uomini. Una divisione inglese, oltre a una quantità di materiali, mezzi e armamenti incredibilmente superiore anche in qualità, poteva contare su un organico di 10/12.000 uomini, e alle volte anche di più.
Tali argomenti andrebbero esaminati in dettaglio, perché questi confronti fittizi facilmente si prestano, e spessissimo sono stati usati, per dare l’impressione di una certa eguaglianza di forze quando, invece, la verità era tutt’altra... Inoltre, per decine d'anni, i vari storiografi, specialmente inglesi, si sono dilettati nel raccontare i fatti da un punto di vista certamente originale, e ai loro racconti, si sono accodati tutti coloro che, vuoi per poca professionalità, vuoi per faziosità, vuoi per disprezzo, vuoi per invidia (sì, anche per invidia, perché a volte, pur non ammettendolo, ci hanno invidiati), ne hanno poi ripreso le favole moltiplicandole all'infinito. Succedeva allora che, nel raccontare di certe azioni guerresche, quando gli inglesi (diciamo inglesi, ma vogliamo dire, naturalmente, britannici) le prendevano dagli italiani, questi ultimi venivano in genere fatti 'scomparire', sostituendoli con i tedeschi. Che c'era di più onorevole che l'averle prese dai tedeschi? Mentre, evidentemente, veniva considerato disonorevole essere stati sconfitti dagli italiani. Per tanti anni, il giochetto è riuscito, complici anche parecchi italiani, ai quali dava (e dà) fastidio che i nostri soldati avessero combattuto bene, pur sotto le insegne fasciste e la bandiera sabauda. E proprio queste menzogne si cercherà di rivelare, per dimostrare che sono sempre in vincitori a scrivere la storia a modo loro (e che, purtroppo, a volte, i vinti forniscono carta, penna e calamaio).
DAL PASTORE AL DUCA
ragici e gloriosi gli episodi di El Alamein, della Folgore e dell'Ariete. In mezzo al deserto erano rimasti a combattere solo quelli che avevano stoffa d'eroi, che gli altri, vista l'aria che tirava, s'erano già cercati un posto sicuro nelle retrovie, o erano rientrati in Italia prima che le cose si mettessero al peggio. Fra i tantissimi esempi di coraggio brilla quello dei tre fratelli Ruspoli (Marescotti, Costantino e Paolo detto Picci) che, pur provenendo da una nobile famiglia cui sarebbe stato più che facile tenerli al riparo dai pericoli, hanno scelto di rischiare la pelle per una ingratissima Patria. Marescotti e Costantino ce l'hanno lasciata a distanza d'una manciata d'ore, morti da eroi a pochi chilometri l'uno dall'altro, laggiù in mezzo alle sabbie, a nord di Qattara.
Se paragono quell'Italia del deserto all'odierno carrozzone da fiera - dove pagliacci e baldracche si disputano la scena mentre il popolo beota e guardone assiste ed applaude - mi viene una profonda tristezza. E allora, quei valorosi di El Alamein rappresentano per me uno dei motivi per cui non mi vergogno d'essere italiano.
Paolo Caccia Dominioni, oltre ad essere stato un valente comandante di battaglione in quei mesi infernali, ha poi scritto pagine bellissime in ricordo degli eroi di El Alamein, illustrandole da grande artista. E senza trascurare il suo disinteressato, estenuante e coraggioso impegno del dopoguerra, dedicato al ritrovamento dei caduti, non solo italiani, e a dar loro degna sepoltura nel Sacrario da lui voluto e costruito, nonostante l'indifferenza dei governi del dopoguerra. Insomma, un Italiano come non se ne trovano ormai più.
Qualche tempo dopo, mentre risfogliavo il libro "I Ragazzi della Folgore" di Bechi Luserna e Caccia Dominioni, mi sono imbattuto in un commento che ne riassume l'epopea in poche e bellissime parole. Lo riporto com'è scritto: "Gli italiani del 1942, ad El Alamein, posseggono una sola superiorità, ma essenziale: nelle truppe sono rimasti soltanto i soldati veri e gli altri se la sono tempestivamente squagliata. Non ci sono più guerrieri da operetta, da medaglie e da declamazione, tragica zavorra, protetti da equivoci privilegi, liberi di andare e venire a piacer loro, secondo la fortuna del momento. Partiti tutti, chi con la colite, chi per il reuma. Ad El Alamein sono rimasti solo i soldati veri, dal pastore al duca, nella gamma che va dalla gleba al torrione feudale, passando dall'officina e dal negozio...". Forse è stato meglio così.
VERI GENTLEMEN E VERY BRITISH...
foglio un paio di vecchi volumi in francese, con le ultrafamose memorie di Churchill sulla seconda guerra mondiale, trovati una domenica mattina al mercatino dell'usato di Waterloo. Strana coincidenza di località, con quegli snob degli inglesi, in entrambe le occasioni, vincitori più per mezzi e fortuna che per bravura. Speravo di leggervi i particolari della battaglia di El Alamein, specialmente della Folgore e dell'Ariete, e magari qualche apprezzamento sul comportamento degli italiani. Neanche una parola sui nostri soldati - e di questo non mi meraviglio più di tanto - ma in compenso una paginetta con un paio di ipocrite e gigantesche distorsioni della verità - pro domo britannica - così tipiche di un carattere che vorrebbe apparire, ma in fondo non è, di gentiluomini.
La prima riguarda il motivo per cui, secondo Churchill, fu deciso di forzare lo schieramento italo-tedesco al nord. A suo dire, le difese dell'Asse erano così potenti(!) e su un fronte così ristretto (alla faccia: 60 chilometri!), che quella che sarebbe sembrata logica e opportuna, e cioè una manovra a tenaglia sfondando da sud per chiudere verso nord-est, diveniva improponibile.
Questa affermazione puzza di scusa postuma per giustificare il fatto che il forte colpo menato contro la Folgore andò decisamente male a causa dell'incredibile resistenza e tenuta di questa divisione (che aveva la consistenza di una brigata). La verità è che l'attacco fu sferrato contemporaneamente sia al nord che al sud, con forze in proporzione alla “robustezza” locale dello schieramento italo-tedesco.
Questo dimostra che Montgomery (oltre che acclarato bugiardo) è anche un incapace: se avesse concentrato tutti i suoi sforzi al sud, forse sarebbe riuscito (in cinque contro uno, da non dimenticare) sia a travolgere la sottilissima linea della Folgore (ridotta ad appena 3000 uomini, all'inizio della battaglia, e quasi tutti denutriti e con scarsissimi mezzi), che ad accerchiare le truppe dell'Asse schierate al nord, e ad annientarne l'intera armata. Invece, dopo aver rinunciato a sud - per sberle ricevute - e averle prese anche a nord, sempre in cinque contro uno, ha dovuto sospendere l'attacco, e chiamare altri rinforzi, sia dalle retrovie che dal fronte meridionale. E poteva farlo perché aveva mezzi e carburante più che a sufficienza, mentre una divisione come la Folgore, completamente sprovvista di autocarri, era costretta a rimanere insabbiata nel deserto. E solo allora il nemico, con enormi perdite di uomini e mezzi, e rischiando il tutto per tutto a testa bassa, riuscì ad avanzare quei pochi ma fondamentali chilometri, e quasi quasi gli stava andando pure male.
E non solo: se le nostre forze avessero ricevuto anche una parte dei rifornimenti previsti e attesi, ora staremmo quasi sicuramente a parlare non certo della guerra vinta - che gli americani erano ormai in vista, e stavano per battere alla porta maghrebina - ma della disfatta inglese nella terza battaglia di El Alamein.
Tra l'altro, sarebbe interessante analizzare come le notevolissime perdite subite dagli inglesi durante i dodici giorni della grande battaglia, abbiamo poi influenzato e condizionato il successivo inseguimento delle truppe dell'Asse in ritirata. Queste, per dirla tutta, non furono mai veramente e definitivamente debellate, a parte le divisoni italiane lasciate a piedi nella fuga, se non parecchio tempo dopo, quando, in Tunisia, gli americani e i francesi intervennero a fianco dei britannici.
E a proposito del fatto che fu una ritirata e non una rotta (e anche per dimostrare che a volte sono gli stessi italiani - in questo caso il Radiocorriere TV - a fornire argomenti ai nostri denigratori), ecco la lettera di protesta scritta quarant'anni fa al settimanale Il Borghese dall'ex-Capo di Stato Maggiore dell'Ariete, Generale Giuseppe Rizzo, dal titolo eloquente: "NON SONO FUGGITI". Ve la riportiamo integralmente.
"Egregio Signor Direttore, suI Radiocorriere TV del 18-24 Agosto [1968, ndr], a pag.67, sull'argomento El Alamein è scritto «arco di tempo... dalla sera del 22 Ottobre 1942,... alla sera del 5 novembre, quando ormai l'Armata Italo-Tedesca, prigioniera o in fuga, non era di ostacolo agli inglesi nella corsa verso la Tunisia».
Sento il dovere morale di precisare invece che, pur dopo tredici giorni duri di asprissima lotta con ineluttabilmente morti, feriti e prigionieri, la Armata Italo-Tedesea non fu ne prigioniera ne mai in fuga, ma solo in ordinato ripiegamento. E le nostre truppe si comportarono in modo esemplare durante tutta la ritirata. Inoltre l'Armata, per la sua compattezza e la sua disciplina, e perché magistralmente comandata, fu di notevole ostacolo agli inglesi in quella pur tragica lotta senza speranza per raggiungere la Tunisia. Preciso anche che i britannici non fecero affatto una corsa verso la Tunisia, ma una lentissima, estremamente lenta avanzata regolata da Rommel, che fu il vero arbitro di quell'epica situazione, costringendo gli inglesi a marciare col suo stesso passo. Infatti il nostro ripiegamento durò dal 5 Novembre al 12 Febbraio, cioè centodieci giorni, che vale a dire si svolse ad una velocità media di circa venti chilometri al giomo. Non si potrà certamente mai parlare di una corsa! Caso mai si volesse constatare una corsa... all'indietro degli inglesi, assai veloci nel fuggire disordinatamente, basterebbe riferirsi alla nostra prima riconquista della Cirenaica (2-12 Aprile 1941, oltre settecentocinquanta chilometri in undici giomi), alla nostra controffensiva della Marmarica (21 Gennaio - Febbraio 1942), alla nostra avanzata su El Alamein, dopo la conquista di Tobruch (22-30 Giugno) circa cinquecento chilometri in otto giomi. Come potrà constatare, gli inglesi erano più veloci nello scappare che nell'inseguire. Tali precisazioni le ho fatte perche sono arcistufo di leggere inesattezze o, peggio ancora, falsi storici. Amerei constatare che i giornalisti si compiacessero di non dimenticare facilmente le nostre cose buone e non esaltassero le vittorie altrui.
Generale GlUSEPPE RIZZO, già Capo di S.M. Divisione Corazzata Ariete in A.S."

Ogni commento è superfluo.

La seconda temeraria uscita di Churchill, ancor più falsa e che vorrebbe convalidare in parte anche la prima, è quella in cui afferma, per glorificare Montgomery (e se stesso, per averlo messo a comando dell'8ª armata), che la superiorità numerica e in armamenti delle forze inglesi era appena di due o tre volte, o forse meno(!) aggiunge, rispetto a quella delle truppe italo-tedesche. A parte il fatto che studi meno di parte, e sicuramente più dettagliati, hanno dimostrato come in quantità di uomini e di mezzi il vantaggio di Montgomery fosse notevolmente superiore, in qualità di armamenti e mezzi il rapporto non era neanche proponibile.
Come possono paragonare, questi gentlemen, lo scarso centinaio di carri M13/40 (poco più di 10 tonnellate e armamento in proporzione) di una divisione italiana come l'Ariete, con quelli delle divisioni corazzate inglesi, in quantità ben maggiori, con più del doppio in peso e in corazza e con armamenti infinitamente più efficaci? I poveri (ed eroici) carristi italiani - di cui nessuno si ricorda, e men che mai i nemici, che in questo caso, come in parecchie altre occasioni, non sono stati affatto magnanimi nella vittoria - con armi di calibro e gittata metà di quelle degli avversari, dovevano ogni volta rischiare grosso solo per portarsi a distanza di tiro, per poi spesso scoprire che il proprio cannoncino faceva un baffo alle corazze dei suddetti gentlemen. La tabella qui accanto, che mette a confronto le silouettes dei vari carri della battaglia, fu disegnata da Paolo Caccia Dominioni, forse in un impeto di comprensibilissima rabbia. Mostra un M13/40, magari un pochino più piccolo di quanto in realtà fosse, paragonato agli altri. Ma questo non cambia nulla, ché le tonnellate son tutte lì a dimostrare che, comunque la si rigiri, il nostro era un Davide in mezzo ai Golia.
Per cui, se una parte mancò della fortuna, e soprattutto dei mezzi, l'altra ne ebbe in abbondanza, anche se non lo meritava. Di conseguenza, ho netta l'impressione che Churchill, Montgomery e tanti come loro, non siano propriamente dei signori. A codesti gentiluomini fasulli ha risposto degnamente un gentiluomo vero, Paolo Caccia Dominioni, e tanto potrebbe bastare.
Oltre a questi, si potrebbero portare molti altri esempi di disonestà intellettuale e storica nei confronti del soldato e del popolo italiano, e parecchi con la nostra stessa complicità, e in queste pagine si cercherà di farlo. È comunque forse più importante conservare vivo il ricordo di questi eroi del deserto che sconfissero l'inglese quasi a mani nude.
UNA TABELLA VALE PIU' DI MILLE PAROLE
Si dice che un'immagine valga più di mille parole. Una tabella allora, in quanto riassunto, vale più di mille immagini. Eccone una, di provenienza non sospetta, la quale tabella - anche se il titolo già riporta un'omissione freudiana, citando solo, ovviamente, inglesi e tedeschi - non poteva manipolare o inventarsi dati che tutti conoscono. E' allegata ad una pubblicazione inglese in due volumi [Afrika Korps at war, di George Forty], e mostra la capacità di penetrazione dei cannoni dei carri armati in campo, per varie distanze, rispetto allo spessore della corazzatura dei carri avversari. Trascura, è vero, la qualità delle corazze (le nostre erano chiodate, e dunque ben più fragili di quelle in un sol pezzo di fusione, e di un acciaio piuttosto autarchico), ma non possiamo pretendere un'obiettività totale da chi spesso le ha prese dai nostri carristi. E accontentiamoci pure che, in fondo in fondo, vi abbiamo messo anche il piccolo M13/40 (o M14/41, che dal punto di vista cannone e corazza era la stessa cosa), quasi un carrettino a confronto di certi più recenti carrarmatoni inglesi (quasi tutti costruiti, però, dagli americani). Ecco la tabella, e poi qualche commento che non si può proprio tacere.
Dunque, se avete avuto la pazienza di ingrandirla e di fare qualche paragone, ecco come si presenta agl occhi del lettore la situazione. Tutti, ma proprio tutti, i cannoni dei carri inglesi, riuscivano a forare le corazze dei nostri M13/40 alla distanza di 500 yarde (ossia, circa 450 metri), la minima fra quelle considerate, e alle 1000 yarde (circa 900 metri). Alle 1500 yarde (circa 1350 metri), solo il Valentine MkII e il Crusader MkII non ce la facevano, mentre alle 2000 yarde (quasi 2 chilometri!) Grant e Sherman continuavano a sforacchiare allegramente le lamiere italiane.
Vediamo ora la stessa faccenda dal punto di vista dei nostri carristi. Il loro cannoncino da 47mm, già alle 500 yarde non riusciva a bucare, se non con un po' di fortuna, che le corazze dei Crusader MkII&III; a tutto il rimanente dei corazzati britannici, già a quella minima distanza, faceva un baffo. Insomma, sopra i 500 metri era inutile sprecare le munizioni, tanto non sarebbe servito a nulla. L'unico corazzato italiano che preoccupò gli equipaggi dei carri inglesi (ma che non appare nella tabella), fu il semovente con obice da 75/18, che aveva anche il vantaggio di essere ben più basso dell'M13/40, e perciò meno esposto, ma con un campo di tiro molto ristretto e soprattutto non prodotto in quantità significative.
Questi sono fatti e non chiacchiere. E se per mezzo secolo celebrati scrittori stranieri e mezze calzette hanno fatto finta di ignorarli, finalmente da qualche anno è apparso un buon lavoro inglese che rende ai carristi italiani tutto l'onore e il rispetto che meritano. Il libro è di Ian W. Walker, si intitola: "Iron Hulls, Iron Hearts" (Ferrea mole, ferreo cuore), e credo che faccia piacere leggere ciò che Walker scrive a conclusione della sua opera: "In questa difficile materia, è forse più semplice chiedersi chi dimostrò più coraggio nelle seguenti situazioni: il carrista italiano, che andava in battaglia in un sorpassato carro M14 contro corazzati e controcarro nemici superiori, sapendo che questi potevano penetrare le sue inconsistenti protezioni ad una distanza alla quale il suo piccolo cannone aveva poco effetto; il soldato tedesco dei panzer o il carrista britannico, che scendevano in battaglia con un Panzer IV Special o uno Sherman contro un nemico dotato di mezzi equivalenti, sapendo che almeno si potevano scambiare colpi su un piede di parità; o il carrista britannico che andava in battaglia con uno Sherman contro corazzati e anticarro italiani inferiori, sapendo con certezza che egli li poteva distruggere ad una distanza alla quale loro non potevano fargli nulla?".
Insomma, questa non è una semplice tabella; è un monumento all'eroismo dei carristi italiani (e, se vogliamo dirla tutta: un atto d'accusa contro chi li mandò a combattere con quei poveri carrarmatini). Ed è proprio questa tabella che, se fosse fusa nell'acciao e murata nel Sacrario di El Alamein, ricorderebbe ai visitatori che ai soldati italiani non mancò solo la fortuna, ma mancarono soprattutto i mezzi...
QUELLA DELLA FOLGORE ADDESTRATA DAI TEDESCHI...
na delle panzane che di tanto in tanto si ritrova in certi libri inglesi, anche recenti, è che la Folgore, per giustificarne il valore e le batoste che inflisse alle truppe dell'impero britannico, era stata, in qualche maniera, 'addestrata' dai tedeschi. Ecco di seguito alcuni fra gli esempi più sorprendenti, anche perché provenienti da fonti di una certa, supposta, autorità.
Il primo è tratto dal libro Full Monty, del biografo ufficiale di Montgomery, un certo Hamilton. Distorcere la verità sui nostri soldati è uno sport che il cosiddetto “visconte di Alamein” ha sempre praticato, e per il quale Paolo Caccia Dominioni lo tacciò pubblicamente, senza smentite né querele, di essere una lavandaia e di usare il mendacio a scopo autoincensatorio. Tanto per cominciare, i suddetti (Montgomery e Hamilton) cercano di far credere che le forze che si fronteggiavano ad El Alamein fossero quasi pari. È un'affermazione, questa, sufficiente per chiedere indietro i soldi del libro nella sfortunata ipotesi che uno lo avesse già acquistato. Ma quando si legge che la Folgore, appena appena menzionata, era l’unica divisione italiana “tosta” perché addestrata dai tedeschi, beh, questa non è ignoranza - già sufficiente a squalificare un libro - ma una menzogna, tanto per cercare di dimostrare che il soldato italiano valeva qualcosa solo se i crucchi ci avevano messo le mani. Il libro, a pagina 182, dice testualmente "...the german-trained - and tough - Folgore..." Per dirla alla maniera britannica: no comment.
Il secondo è opera, piuttosto recente, di J. Bierman & C. Smith. Ecco quanto si afferma nel loro libro Alamein - War without hate, pubblicato nel 2002:
a pag. 259, dopo aver già nella pagina precedente lanciato la balla che i paracadutisti della Ramcke avevano aiutato ad addestrare quelli italiani per circa un anno, in vista dell'operazione su Malta, ecco che si viene a parlare della Folgore nel deserto, e di un certo "Major Otto Burckhard 'Experimental' batallion", che sarebbe stato 'attached' (ovvero, 'aggregato') alla Folgore. Tutto suona strano e inventato, anche se dei nostri soldati in genere, e dei paracadutisti in particolare, specie nel 2002, non si può che farne l'elogio (altri se la sono cavata e se la cavano ignorandoli); e questo avviene per una dozzina di righe. Finché, in cauda venenum, ecco che se ne escono con (letteralmente): "In aggiunta, i gruppi di addestramento della Ramcke avevano fornito alla Folgore una completa istruzione nelle armi e nelle tattiche, e inculcato loro un po' del proprio spirito di truppe d'assalto."
E a pag. 261, dopo aver descritto le batoste inflitte dalla Folgore a fine settembre agli inglesi del 1st/5th Queen's, ecco un'altra chicca: "I tedeschi erano deliziati al vedere quanto un ridotto addestramento della Wermacht abbia potuto significare per i propri alleati, e consegnarono ai paracadutisti italiani undici croci di ferro." [di seconda classe, viene aggiunto puntigliosamente]
A questo punto non varrebbe la pena continuare, che quanto letto è più che sufficiente a screditare gli autori, ma è comunque interessante leggere la nota 2 a pag. 38 del libro Takfir, di PCD e dell'allora maggiore Giuseppe Izzo della Folgore, a proposito della contiguità fra la Folgore e la Ramcke: "...I battaglioni Hübner e Burckhardt della brigata paracadutisti Ramcke erano in funzione di "linea scoglio' tra i reparti della Brescia, un po' piu' a nord. Ma nessuna fanteria tedesca divideva con la Folgore il presidio e la responsabilità dei quattordici chilometri Deir el Munassib - Sacca minata - quota 125 - Haret el Himeimat - Nagb Rala." Come d'altronde si vede molto chiaramente nella cartina accanto, dell'Ufficio Storico SME. Punto e basta.
Il bello fu che parecchi anni dopo, quando il Visconte di Alamein venne nominato vice comandante SACEUR, nell'ambito della NATO, durante una visita ai reparti (agli inizi degli anni '50), ebbe un incontro con i paracadutisti della Folgore e della Nembo. Ve ne diamo il racconto dell'allora Cap. Michele Valente, apparso sul periodico "Folgore" nel 1997. L'articolo, oltre a dimostrare, se ce ne fosse stato bisogno, che il gentiluomo era chi lo scrisse e non il visconte, contiene anche una foto di gruppo: chissà cosa deve aver pensato qualche sopravvissuto alla battaglia (come il Col. Zanninovich) che era presente ...
...E QUELLA DELL'ARIETE COMANDATA DAI CRUCCHI
Questa faccenda (che gli italiani valessero qualcosa solo quando i tedeschi teutonicamente insegnavano loro il mestiere), viene da molto lontano, ed ebbe picchi di squallore sul finire della guerra, quando si poteva scrivere tutto del soldato italiano (e dei suoi comandanti), senza che nessuno saltasse su a dirgliene quattro (tranne le inascoltate voci di chi veramente c'era stato e conosceva come erano andate le cose). Ovvio che poi, diffusasi la calunnia, i meno seri e obiettivi fra gli studiosi e gli scrittori di cose di storia militare, non trovarono di meglio che inzupparci il biscotto, perché faceva colore e in ogni caso metteva gli italiani sotto cattiva luce, quasi fossero una razza inferiore.
Ecco allora come nel 1945, uno scribacchino inglese mise in circolazione la balla che l'Ariete (al tempo di Bir el Gobi) "era ora largamente comandata dai tedeschi". Per maggior chiarezza, riprendiamo le parole e i riferimenti del Prof. Lucio Ceva, nel suo libro Africa Settentrionale 1940-1943 (Collana 'I fatti della storia' - Roma Bonacci Editore, 1982) a pagina 35, quando tratta di Bir el Gobi e della batosta inflitta dai nostri carristi a quelli inglesi: "Indubbiamente il contegno dell'Ariete in quell'occasione costituì una sorpresa per i britannici... In una pubblicazione semi-ufficiale del 1945 leggiamo che la divisione italiana fu affrontata a cuor leggero... Senonché, disgraziatamente, la divisione Ariete 'was now largely officered with Germans'. Anche un famoso giornalista, Clifford, scrivendo nel 1943, accenna a interventi tedeschi nel combattimento... Quanto poi al tedesco von Esebeck, ricaviamo la seguente perla dalla traduzione francese di un suo volume...: "Il 19 novembre a Bir el Gobi [i britannici] incontrarono la divisione corazzata Ariete, dai carri sorpassati, che non ebbero difficoltà a battere completamente."
Per la precisione, ecco i riferimenti bibliografici citati dal Prof. Ceva a pag. 222:
Nota 13: Vedi rispettivamente: Giffard Le Q. MARTEL, Our armoured forces, London Faber & Faber 1945, p. 131 e Alexander CLIFFORD, Three against Rommel, London Harrap 1943, pag. 131.
Nota 15: H.G. von ESEBECK, Rommel et l'Afrika Korps (trad. franc.), Paris Payou 1961, p. 63.
E chi avrebbe mai immaginato che a comandare i carri dell'Ariete in battaglia fossero ufficiali tedeschi!? Ma guarda quant'erano ingenui i nostri carristi: credevano fossero italiani, parlavano e vestivano come ufficiali del Regio Esercito, li conoscevano da anni - qualcuno magari dall'infanzia -, ed erano invece crucchi mascherati... Quando l'avranno saputo, saranno rimasti senza parole...
In casi come quelli citati per la Folgore e per l'Ariete, è difficile distinguere fra disonestà intellettuale e poca professionalità, tanto sono evidenti tutte e due. Storici che si limitano a ripetere queste balle senza portarne le prove o far riferimento a documenti degni di fede, non sono storici, ma romanzieri, e dei peggiori. E allora, romanzo per romanzo, balla per balla, potremmo anche inventarci che ad El Alamein, a bordo degli Sherman e dei Grant, non c'erano gli inglesi, ma solo gli americani. E difatti, nel film 'Sahara', chi se non Humphrey Bogart è comandante di un M3 Lee al tempo della caduta di Tobruk, nel giugno del 1942? Visto come si può 'forzare' la storia - facendo un film che nel '43 incassò cifre record in America - e prendere anche un bel po' di applausi!?
Una costante di molti libri, soprattutto fra i recenti, è quella di oscillare tra riconoscimenti ad alcuni reparti italiani (ma spesso, come visto, con un distinguo o una menzogna finale), e pagine di aperta disistima per altri.
Mentre ora si sta consolidando anche Oltralpe e Oltremanica la tendenza a maggior rispetto e considerazione per Ariete e Folgore, per tante altre grandi unità (Pavia, Brescia, Littorio, Trento, Trieste, Bologna, etc) che combatterono - tenendo conto dei mezzi che avevano - con quasi altrettanto valore, e comunque non inferiore a quelli di alleati e nemici, non ve n'è ancora traccia significativa. Speriamo solo di non dover aspettare altri sessant'anni.
10 Marzo 2008 / v05

QATTARA HOME PAGE


TESTIMONIANZE HOME


Se volete fare quattro chiacchiere sul deserto del Sahara, scrivetemi:
danielemoretto@libero.it



© qattara.it 2006-2007-2008. Tutti i diritti riservati. Contenuto: Daniele Moretto. Disegno: Giorgio Cinti